Verso il Nepal 2013

Sulle orme della Fiat Panda. Viaggio dall'Italia al Nepal con una Dacia Duster 4wd

2004: Dall’Italia al Tibet e ritorno via Nepal, India, Pakistan e Turchia

Lascia un commento

Percorso 2004

 2004: Dall’Italia al Tibet e ritorno via Nepal, India, Pakistan e Turchia.

Nell’estate 2004 mi viene offerta una imperdibile possibilità di partecipare ad un raid motociclistico tra Cina e Tibet, organizzato per la prima volta da un agenzia viaggi italiana. Il direttore, conoscendo i miei viaggi precedenti in Asia Centrale mi dice: “se ti fai trovare con la tua Panda a Tashkent (Uzbekistan) per il 4 agosto, giorno di arrivo per via aerea dei motociclisti italiani, ti inserisco nel gruppo, e per tutta la durata del  loro raid di un mese fino a Kathmandu, sarà per te a spese mie. Poi dal Nepal, vedi tu come tornare. I motociclisti rientreranno in aereo.”

Non potevo non accettare, da tanto tempo sognavo di varcare la porta dell’infinita Cina. Il Tibet poi, mi era sempre sembrato come una chimera. Certo, non sarei stato solo e libero di girare per il Paese e conoscere la popolazione come mio solito, ma questo è il prezzo da pagare se si vuole entrare in Cina con il proprio veicolo. Infatti, ogni gruppo di mezzi stranieri deve essere seguito da una persona autorizzata dal governo cinese, i quali debbono essere anche dotati di speciali documenti di circolazione, patente e targhe in cinese. Documentazioni difficili e costosissime da ottenere.

“Da solo non sarei mai riuscito ad entrare nella grande nazione orientale, e poi si tratta solo di un “breve” intervallo di un mese”, penso tra me.

La partenza avviene il 10 luglio 2004 con la solita e inseparabile Panda 4×4 “X” (per via della targa!). All’epoca aveva più di 500.000 km, ma dal motore sostituito.

Il fatto di avere un appuntamento a più di 7.000km da casa mi rende irrequieto. Non posso arrivare a Tashkent oltre il 4 agosto, perderei il passaggio in Cina! “Quest’anno ho il motore nuovo, quindi non dovrei aver problemi di sorta”, rifletto durante i primi chilometri di viaggio. 

Infatti la macchina si comporta benissimo (a parte qualche cedimento nella parte posteriore della scocca, indebolita dalle sollecitazioni e dalla corrosione accumulata con gli anni ed i chilometri, prontamente riparata da abili carrozzieri uzbeki.),  e riesco ad incontrare il gruppo di motociclisti italiani a Tashkent, capitale uzbeka.

Mi fa un certo effetto essere l’unico del gruppo arrivato fin qui via terra ed in più la sola vettura (a parte quelle dell’organizzazione cinese, che “cortesemente” ci scortano).

All’inizio i motociclisti sono preoccupati per la mia presenza, pensando che possa rallentare la loro andatura, o peggio, far perder loro del tempo in seguito a rotture varie.

Ma dopo i primi giorni, sono costretti a ricredersi e la vecchia Panda viene soprannominata “motopanda”. Infatti sono sempre a ridosso del gruppo anche durante i lunghi tratti impervi e pietrosi tibetani. Sono invece i due fuoristrada cinesi a farsi attendere in seguito a frequenti problemi meccanici e forature. 

Attraversiamo paesaggi da sogno, passando dal caldo Xinijang, alle magnificenze montane himalayane. Valichiamo alti passi dalle vertiginose altezze sormontati dalle bandiere di preghiera, ed increduli, raggiungiamo Lhasa, culla del Tibet e del buddhismo.File49 L'arrivo a Lhasa

Gli impareggiabili motociclisti, riescono a compiere un’impresa degna di un Guinness: in quattro riescono a portarmi in visita a tutti i piani del maestoso palazzo Potala. 11 piani di scale, a volte ripidissime e strette. Forse nessuno prima di me era stato portato fin quassù con una carrozzella!File57 I mitici motociclisti mi portano a visitare il Potala

E come in preda ad un estasi (forse per la scarsità di ossigeno dovuta all’altezza), arriviamo al Campo base Everest posto a quota 5.300m.

Dopo vertiginose discese su una terribile strada tormentata da frane e fango, stanchi ma appagati, giungiamo nel caldo tropicale di Kathmandu.

E’ l’inizio di settembre. Il percorso dei coraggiosi motociclisti volge al termine, mentre il mio è soltanto a metà!

Il distacco dai miei amici è doloroso, mi ero abituato alla loro presenza ormai, ma era inevitabile. In breve mi ritrovo solo nel caotico traffico della capitale nepalese.

Durante il viaggio fatto di corsa appresso al gruppo, non avevo avuto il modo di rendermi conto esattamente dove mi trovavo, e tutto mi sembrava distaccato e lontano. Ora, invece, la realtà circostante mi cade addosso e travolge come un fiume in piena.

Per fortuna il senso di spaesamento dura poco e riesco a riprendere il controllo della situazione. Ho varie cose da fare prima di ripartire. Prima di tutto le riparazioni alla scocca che sta per cedere nuovamente, poi i visti per India e Pakistan.

Un gruppo di maestri artigiani del ferro rimettono in sesto la Panda in mezza giornata, ed in cinque giorni di attesa ottengo i visti. Si riparte!

Visito il Nepal, poi entro in Sikkim perdendomi tra verdissime piantagioni di tè e dispettose scimmiette.

Ancora montagne, ma ora gradatamente, cominciano a divenire colline coperte di fittissima vegetazione per poi lasciare il passo alle pianure.File94 paesaggi del sud nepalese

Sono in vista del sacro Gange, che diventerà il mio compagno fino a Delhi. 

La guida in India è spossante per via del traffico impossibile, i rumori, lo smog che a volte blocca il respiro, e le condizioni delle strade. Nei villaggi, o peggio nelle città, veicoli strombazzanti di ogni tipo, animali e persone, si muovono in una sorta di apoteosi generale senza regole alcune. A volte sono costretto a fermarmi per non impazzire.

Non so come, ma “approdo” a New Delhi che sembra essere il fulcro del caos e dell’inquinamento indiano. Dopo un giorno di riposo, decido di tornare tra le montagne himalayane in cerca di tranquillità e aria pulita. Non potevo perdermi il Ladakh! 

Qui, nella quiete del “Piccolo Tibet”, ritrovo me stesso.

Monasteri, bandiere di preghiere templi e monaci mi danno il benvenuto a Leh, capitale spirituale ladakha.

La Panda mi accompagna, fedele come sempre, in cima al valico carrozzabile più alto del mondo: il passo Khardung-la, a quota 5.640m.

Lascio il misterioso Ladakh, e di valico in valico mi spingo fino al Kashmir, conteso da Pakistan e Cina, ma di fatto controllato dall’India. La bellissima città di Srinagar, sulla riva del sognante lago Dal, File145 Srinagar, il lago Dalsi schiude ai miei occhi come un fiore prezioso e segreto. Un amichevole famiglia mi invita a pranzo a bordo del loro house boat sul lago argenteo. Momenti tranquilli ed indimenticabili che contrastano terribilmente con la difficile situazione militarizzata in cui vive la popolazione kashmira.

Da pazzo provo a spingermi verso la zona di “cessate il fuoco”, il confine conteso tra India e Pakistan, ma come immaginavo vengo bloccato ed obbligato a tornare sui miei passi. L’unica frontiera aperta al transito internazionale tra i due paesi è quella di Amritsar, 600km a sud da qui.

Finalmente ad Amritsar, dopo aver visitato il famoso “Tempio d’Oro”, varco la maestosa frontiera indo/pakistana. I militari pakistani mi osservano incuriositi con le loro strane uniformi.File154 L'ingresso in Pakistan Lahore mi accoglie con il suo traffico, caotico e rumoroso, ma più sopportabile rispetto a quello indiano. E’ una città mistica ed ammaliante piena di gente curiosa ed affabile, una città viva. Mi sento a mio agio qui.

Il mio viaggio prosegue verso la capitale. Islamabad dista 400km a nord. E pensare che attraverso la zona del “cessate il fuoco”, Islamabad sarebbe stata a solo 200km da Srinagar. Evitare la zona vietata mi costa la bellezza di 1000km di “deviazione”. A Islamabad, città nuovissima e senza storia, contatto l’ambasciata iraniana per ottenere il visto di transito, ma la procedura è lunga: due settimane di attesa! “Poco male, ingannerò l’attesa girando un po’ per i monti pakistani” penso tra me.

Seguono giorni ramingo tra meravigliose montagne e villaggi. Ormai sono a metà ottobre e le vette del Karakorum sono imbiancate e le strade bloccate dalla neve. Impiego diversi giorni per arrivare a Chitral, vicino all’Afghanistan. Impossibile proseguire oltre, torno a Islamabad, ritiro il sospirato visto e riprendo a viaggiare verso l’irrequieto Balochistan, regione a statuto speciale addossata all’Afghanistan. In questi luoghi incontro tantissime persone barbute che portano a tracollo, con naturalezza, pesanti Kalashnikov. Alcuni di loro mi dicono: “fai attenzione, questa sono zone un po’ “particolari”. File176 Pakistan, accoglienza nel WaziristanCome mio solito, anche quaggiù continuo a dormire nella mia “Panda-mini-camper”, senza incontrare problemi di sorta. La gente si rivela amichevole e gentile, come in tutti gli altri luoghi visitati durante gli scorsi mesi di viaggio. L’ultima città pakistana che attraverso è la grande Quetta, ormai il confine con l’Iran è vicino. 

Una volta varcata l’importante frontiera il mondo cambia: la strada si fa perfetta, levigata e ampia come una delle nostre autostrade. La viabilità riprende come in Europa, mantenendo la destra. Io che ormai avevo fatto l’abitudine alla guida a sinistra, usata da Nepal, India e Pakistan, trovo qualche difficoltà a riabituarmi, e nei primi chilometri mi ritrovo a guidare contromano!

Mi rendo conto che sono più di tre mesi e mezzo che sono in viaggio e comincio a sentire la necessità di tornare a casa e perdo l’interesse nelle soste a visitare le importanti città iraniane. Faccio una sosta giusto alla storica fortezza di Bam, distrutta da un devastante terremoto nel 2003. Rimango attonito ed ammutolito di fronte a tanta distruzione, con un groppo in gola. Avevo tanto sognato negli anni passati di visitare questa mitologica città-fortezza costruita d’argilla. Nelle fotografie appariva come un gigantesco castello di sabbia, ed ora come tale si è disgregato, sbriciolato, di fronte all’immane forza della natura.

Una tristezza infinita si impossessa di me, che mi spinge ad allungare il passo verso Tehran ed il confine iraniano/turco. Quando oltrepasso la frontiera sento già l’aria di casa, ed in pochi giorni arrivo al lungo e maestoso ponte sul Bosforo. E’ commuovente quando vedo il cartello che mi informa che sono in Europa.

Ora mi attende soltanto l’ultima frontiera con la Grecia, e poi dopo un traghettamento  rientro in Italia, a Brindisi. Sembra quasi impossibile riprendere a parlare con la gente utilizzando la mia lingua dopo più di 4 mesi passati a zonzo per l’Asia, incredibile.

Provo a raccontare del mio girovagare, mentre gusto un bel piatto di tagliatelle al gestore di un ristorante della città portuale, ma sono certo di non venir creduto. Anzi rischio di essere preso per pazzo!

Il giorno successivo, è il 15 novembre 2004, dopo 32.000km torno a casa, parcheggio in garage come niente fosse e spengo il motore, ma non i pensieri che continuano a galoppare tra le pieghe dell’Asia. Sento che la mia casa non è più qui ma in viaggio, errante da qualche parte verso l’Oriente profondo.

Lascia un commento